Restringere la Tecnosfera — Dmitry Orlov
Traduzione dell’introduzione dall’originale
Negli ultimi due secoli abbiamo assistito ad una completa sostituzione della maggior parte dei nostri precedenti modi di condurre le attività economiche e la nostra vita quotidiana con nuovi metodi, tecnologicamente avanzati, più efficienti. Sono sparite le vecchie faccende domestiche come alimentare una stufa per la cottura, sbattere la panna del latte con la zangola, filare e tessere, costruire penne partendo da piume d’oca e rivestire la carta da lettere, e così via.
La maggioranza delle persone è contenta con i rimpiazzi dell’alta tecnologia — forni a microonde, cibo in scatola, tessuti d’importazione a buon mercato e dispositivi elettronici onnipresenti che hanno relegato l’elegante scrittura a mano ad un’usanza bizzarra e non necessaria. Ci piace poter volare attraverso tutto il pianeta in meno di un giorno, con viaggi che una volta richiedevano svariati mesi.
Non ci lamentiamo per il fatto che gli spostamenti locali non richiedono più di imbrigliare un cavallo o due e che girare la chiave di accensione è ora sufficiente per metterci a disposizione il potere di centinaia di cavalli.
Ma tutte queste comodità, convenienze e lussi hanno il loro lato sinistro.
Per cominciare, la questione del che cosa sia esattamente più efficiente in questa nuova organizzazione non viene praticamente mai esaminata.
Se i nuovi modi di agire sono così efficaci, allora dovremmo tutti condurre vite rilassate, prive di stress, piacevoli, con molto tempo libero da consacrare all’arte, alla danza, alla poesia — esercizi un tempo accessibili soltanto ai pochi privilegiati — senza contare il concedersi frequenti periodi sabbatici ed andare in pensione non appena ci si senta di aver fatto abbastanza.
Il fatto che questo non sia evidentemente il nostro caso, (la gente è più indaffarata e più stressata che mai ed è costretta ad aspettare il pensionamento fino alla tarda età) avrebbe già dovuto far suonare campanelli d’allarme: la nuova tecnologia può sì essere più efficiente per alcuni, ma è più efficiente per te? In realtà, sembra, fondamentalmente, che sia più efficiente soltanto in relazione ad una cosa: i profitti aziendali. Ma anche sotto questo profilo l’ “efficienza” della nuova tecnologia risulta essere carente se prendiamo in considerazione il danno all’ambiente, gli effetti negativi di questo danno su di noi, e quel che ci costerebbe porre interamente rimedio ad essi.
Secondo, il pericolo non è soltanto per l’ambiente, ma anche per la società.
Anche se i progressi della tecnologia sono sempre propagandati come “risparmia-lavoro” — in quanto incrementano la produttività per unità di lavoro — molti di essi sono, de facto, distruggi-lavoro — perchè non si limitano semplicemente a migliorare, ma rimpiazzano il lavoro umano con il lavoro delle macchine, utilizzando energia derivata principalmente da combustibili fossili. Un robot che rimpiazza un essere umano non incrementa la produttività di quell’uomo — la distrugge completamente. L’automazione ci rende economicamente superflui.
Questo non sarebbe poi così male se i robots lavorassero per noi, cosicché noi possiamo trar profitto da essi e dedicare la maggior parte del nostro tempo alla musica, alla danza e alla poesia. Ma in un’economia capitalista i robots appartengono ai capitalisti che sono pochi numericamente e, anche se i robots lavorerebbero benissimo senza di loro, è a loro che spetta tutto il bottino. Il resto di noi, un tempo orgogliosi di quel che eravamo in grado di produrre, è forzato a eseguire umilianti lavori di servizio, finché forse anche questi incarichi verranno sostituiti dai server di internet e ancora più robots.
Terzo, nonostante sia comunemente ritenuto che siano le macchine a lavorare per noi, è più il caso contrario. Infatti sta sempre aumentando l’impressione di esser noi a lavorare per le macchine.
Impariamo prendendo corsi online, in cui obbediamo alla macchina dovendo eseguire un quiz automatizzato alla fine di ogni unità. Ascoltiamo fedelmente e ci atteniamo alle labirintiche procedure delle segreterie telefoniche. Riempiamo numerosi moduli online. Sprechiamo le nostre risicate risorse finanziarie in infinite sostituzioni e migliorie, perchè la tecnologia è fragile e diventa velocemente obsoleta. Molti tecnici e riparatori, che sono al momento relativamente sicuri nel loro impiego, devono restare disponibili 24/7 nel caso qualche piccola parte di tecnologia dovesse improvvisamente rompersi. E, se si tratta delle nostre vite personali, ci sono siti per appuntamenti per suggerirci i compagni, ma gli algoritmi che ci abbinano ci stanno aiutando a trovare il vero amore, o ci stanno semplicemente facendo accoppiare come animali da allevamento?
Infine, la tecnologia sembra stia distorcendo le nostre personalità.
Un secolo o due fa, nessuno avrebbe mai detto che le persone fossero “dipendenti” dai loro strumenti di falegnameria o dalla macchina per filare e tessere. Potevamo anche amare i nostri attrezzi, prestar loro particolare attenzione, tenerli affilati e oliati, decorarli con pitture intricate e intagli, contarli tra i nostri più preziosi possedimenti e lasciarli orgogliosamente in eredità ai nostri figli. Ma erano meramente oggetti utili — non feticci — e non determinavano le nostre passioni.
Adesso, invece, è un luogo comune il sentire della “dipendenza da internet”, e molti che ne soffrono cercano un trattamento medico per essa. Più e più persone stanno sviluppando un attaccamento malsano ai loro smartphones: toccandoli costantemente, controllando compulsivamente le e-mail, Gli aggiornamenti degli stati di Facebook ed i tweets; e sperimentano gravi sintomi di astinenza quando perdono la connessione internet o la batteria si scarica. Al tempo in cui cavallo e carrozza era il metodo preferito di trasporto, la gente poteva andar fiera dei propri cavalli ma difficilmente li vedeva come estensione o espressione delle loro personalità — come spesso adesso le persone pensano delle loro macchine.
Adesso i bambini crescono con una bravura quasi innata per i videogiochi ma, siccome molta parte della loro esperienza di vita passa in vari piccoli mondi artificiali che sono manipolati usando bottoni e visti attraverso uno schermo pixellato, andando avanti sono incapaci di discernere o maneggiare gli oggetti reali nel mondo fisico.
Chiedete loro di disseppellire delle patate o districare una rete da pesca, tostare una fetta di pane o affilare un paio di forbici — cose che i ragazzini una volta crescevano sapendo fare — e con tutta probabilità se ne faranno beffa e vi diranno che non vengono da qualche povera nazione del terzo mondo dove le persone devono ancora avere a che fare con tali cose. La tecnologia li depriva di uno dei più grandi piaceri della vita: creare cose con le proprie mani.
La tecnologia li depriva di uno dei più grandi piaceri della vita: creare cose con le proprie mani.
Una volta i nostri strumenti e le macchine erano un’estensione dei nostri corpi e delle menti, ma adesso stiamo diventando schiavi delle nostre macchine, dipendenti da esse per il nostro benessere psico-fisico e addirittura per il nostro senso identitario. Se privati dell’accesso alla tecnologia, non possiamo più funzionare e sviluppiamo sintomi di anomia e spersonalizzazione.
Nel 2011 le Nazioni Unite dichiararono che l’accesso a internet è un diritto umano e che disconnettere le persone da internet andrebbe considerata una violazione die diritti umani. Dal punto di osservazione privilegiato di alcuni secoli fa e, molto probabilmente, di alcuni secoli in avanti, questa affermazione sembrerebbe tanto bizzarra quanto dichiarare che sia un diritto umano l’iniettarsi eroina o cavalcare gli unicorni.
Come questi quattro punti indicano, il lato sinistro, pure di quelle tecnologie che sembrano benefiche, non è particolarmente ben nascosto. Ovviamente i sintomi dei malesseri legati alla tecnologia descritti sopra sono facilmente osservabili tutto attorno — se solo ci interessasse guardare. Non dovrebbero spingerci a mettere in dubbio l’assunto che la tecnologia sia sempre vantaggiosa? utile e benigna?
Ma la credenza prevalente, indiscussa, è che la tecnologia sia semplicemente fantastica, che quella nuova sia sempre migliore, che esser più tecnologizzati sia meglio che esserlo di meno e che, non importa quale sia il problema, sarà la tecnologia che alla fine ci salverà. E non diteci che siamo dipendenti da essa, che lasciamo che le macchine ci dirigano, che siamo mere appendici delle macchine, nati per servirle fino alla sostituzione, o che… Dio non voglia … Siamo diventati dei drogati! Possiamo smettere quando vogliamo! (Soltanto dopo aver compulsivamente dato un’occhiata allo smartphone un’ultima volta.)
E poi ci sono tutte quelle tecnologie che non hanno neanche un briciolo di benignità: reti di dispositivi che possono sterminare tutta la vita sulla terra premendo un bottone; tecnologie che monitorano ogni nostro movimento, che spiano ogni nostra conversazione e che cercano di predirre il nostro comportamento così da esser pronte a neutralizzarci ancor prima di aver tentato di fare un passo oltre confine.
Queste sono tecnologie che conosciamo e su cui già speculiamo.
Ma ce ne sono alcune altre che, anche se comunemente non vengono viste come infrastrutture tecnologiche, e nonostante la nozione sembri esotica a primo acchito, è proprio questo ciò che sono.
Stiamo ora parlando delle macchine sociali, che controllano i nostri pensieri e il nostro comportamento. Hanno delle parti mobili costituite da esseri umani (ogni giorno di meno), ma sono comunque macchine. Non lasciano quasi nulla all’esercizio di una libertà e un giudizio individuale — nulla che possa intaccare i semplici imperativi di queste macchine per sopravvivere, moltiplicarsi e accumulare potere.
E poi ci sono le macchine politiche — progettate non solo per produrre certi risultati elettorali, ma per darci l’illusione di una partecipazione democratica e di avere una voce negli affari pubblici, mentre ci privano esattamente di ogni scelta importante, derubandoci simultaneamente della nostra capacità di pensare in modo indipendente.
E se questi metodi di controllo della mente dovessero fallire, c’è un pacchetto di tecnologie in costante espansione a supporto di altri metodi di controllo delle masse, inclusa la coercizione, l’intimidazione e la soppressione della libertà di espressione.
Considerate tutte queste negatività, potrebbe sembrare allettante il voltare le spalle alla tecnologia tutta insieme, distruggere tutti i congegni e gli aggeggi e l’adottare la vita semplice di un eremita o un di un pastore, o vagare nei boschi e diventare selvatici o qualcosa del genere. Ma questo libro sulla tecnologia è scritto da un tecnologo, e la soluzione che offre è completamente diversa. Invece di denigrare o ripudiare la tecnologia, l’idea è quella di riprendere il controllo di essa.
Per fare questo, dobbiamo prima imparare a vederla per quello che è — passando attraverso tutte le parole chiave, le montature del marketing, gli slogan pseudoscientifici e il gergo incomprensibile.
Poi dobbiamo capire come valutarla: se è efficiente, allora secondo quale parametro e chi è il beneficiario di questa efficenza? L’efficenza come eufemismo dei profitti aziendali non dovrebbe ingannarci. L’efficenza è una misura che collega la produttività (risultato) al lavoro e alle risorse utilizzate; è priva di significato se non capiamo tutte le implicazioni dei fattori-causa e dei loro risultati.
Nel caso di un pannello solare, esso ha bisogno soltanto di un irraggiamento per poi emettere corrente elettrica? No, l’apporto necessario è costituito da tutta l’energia — principalmente da combustibili fossili — che è stata consumata per estrarre, raffinare, fabbricare, finanziare, progettare, ricercare, distribuire, spedire, installare, per il supporto tecnico, la normale manutenzione e la rottamazione. Ed il risultato è, sì, una modesta quantità di energia. Potrebbe ben risultare che il tuo pannello solare è un modo per convertire molta energia da combustibili fossili in un po’ di elettricità con l’aiuto della luce del sole. Quanto è efficiente questo? Forse sarebbe più efficace usare meno elettricità — o non usarla affatto.
Per evitare di credere a guadagni illusori in termini di efficenza, dobbiamo imparare come scegliere le nostre tecnologie. Per ogni dato sistema tecnico d’avanguardia, è più efficiente per noi se la persona che ce lo vende incrementa le vendite, o se ne compriamo di meno, se abbiamo meno bisogno di denaro e non dobbiamo lavorare così tanto?
È davvero essenziale ogni singolo pezzo di tecnologia? Se cosí fosse, esso preserva la nostra autonomia e libertà di azione, o le limita in maniere subdole? Ci libera, o crea degli schemi di dipendenza? Ci aiuta a rimanere sani, o contribuisce a malattie fisiche e mentali? Ci isola e ci getta insieme con sconosciuti a caso, o ci porta più vicini alle persone con cui ci piace passare il tempo?
Infine, dobbiamo imparare ad ottimizzarla: come potremmo ottenere la massima indipendenza, tempo libero, salute e piacere dalla vita usando le tecnologie che decidiamo di usare?
È questo quel che l’espressione “restringere la tecnosfera” realmente significa: ridurre la tecnologia ad un numero gestibile di elementi scelti, essenziali, ben compresi, affidabili e controllabili. Si tratta di riconquistare la libertà di usare la tecnologia per il nostro proprio bene e alle nostre condizioni.
La tecnologia è sempre e dappertutto legata indissolubilmente con l’economia.
Pur non potendo del tutto ignorare l’economia, abbiamo bisogno di metterla al proprio posto, perchè un approccio puramente utilitaristico, strettamente quantitativo a tutti gli aspetti della vita è profondamente sbagliato e completamente insoddisfacente se le nostre vite presuppongono un senso.
Non è l’economia che conta davvero — né gli imperativi macroeconomici dello sviluppo, della crescita, della produttività e del progresso tecnico; né gli imperativi microeconomici della redditività, della quota di mercato, dell’innovazione, della fedeltà al marchio o della moda.
Piuttosto, ciò che conta è un’economia basata sulla risorsa umana, tale da discostarci dall’essere ingranaggi economici e diventare soggetti economicamente avvantaggiati — economici e parsimoniosi nel nostro uso della tecnologia. Da “economisti” a “economici”: il cambiamento è sottile, ma fa tutta la differenza.
Dmitry Orlov.